Pensieri come stanze.
Enormi stanze vuote.
Stanze private.
Private di me.
Private di tutto ciò che mi appartiene.
Private di un senso.
Di appartenenza.
Apparentemente sto bene.
“Sì, mamma, è tutto a posto.”
A parente mente.
Non c’è più niente al suo posto.
Queste stanze sono vuote.
Ma c’è ancora il segno di ciò che era.
Ed ora non è più.
Il segno di me.
La mia sagoma, lì per terra.
Qualcuno mi ha fatto fuori.
Ma io sono ancora dentro.
Dentro queste enormi stanze vuote.
In tutte queste stanze.
Il detective indaga.
Ma non trova indizi.
“Lei conosceva la vittima?”
“No.”
Forse un po’ sì.
Era una delle tante me.
Ma non ci stava con la testa.
Con la mia testa.
Non ci sono più voci, in queste enormi stanze vuote.
Solo l’eco, a ricordo di un suono che prima c’era.
Prima.
Con l’eco non collego.
Con l’ego, il mio ego, forse ritrovo un pensiero, una parola, me.
E invece no.
Resto qui a guardarmi intorno in queste enormi stanze vuote.
Del resto non c’ho capito molto.
Dell’andar via ancora meno.