Cent’anni di solitudine

Di quei libri che
dovresti leggere
(te lo ha detto il tuo professore di Letteratura Angloamericana, anni fa)
non puoi non conoscere
(fanno parte del patrimonio culturale di tutti)
devi avere nella tua libreria
(perché sono classici)

Di quei libri che compri, con il proposito di leggerli subito.

Di quei libri che già solo il titolo ti sembra di sentire tuo.

Cent’anni di solitudine

Comprato e messo lì, a far la polvere, su di un comodino poco comodo, ché già bell’e occupato da tanti altri suoi simili.

E ti dici
ora lo leggo
(e intanto ti sei innamorata di un altro)
questa sera lo inizio
(ma no! sono troppo stanca per iniziare un mattone)
Dai, sì. Me lo porto al mare.
(seh! Al mare servono cose più leggere, da leggere)

E intanto gli anni passano.
E i cent’anni di solitudine sembrano quelli del povero libro sul tuo comodino.
Eppure hai letto L’amore ai tempi del colera e ti è rimasto impresso, come un tatuaggio indelebile.

E poi ti piomba addosso così, in un giorno qualunque, la notizia:

E’ morto Gabriel Garcia Marquez!

E tu resti lì.
Davanti alla tv.
Senza dir nulla.
Tanto ci pensano gli altri a dire tutto.
Tutti bravi a salire sul carro funebre del vincitore, che ha perso contro la morte.
Tutti pronti a dire di aver letto questo o quel libro.
Tutti lì a scrivere frasi tratte dai suoi romanzi più famosi e belli.
E tu niente.
“Non ho niente da dire, Vostro Onore.”

Ma non è vero.
Stai mentendo.
A te stessa.
C’è un libro, lì, sul comodino.
Ed è lì che ti aspetta, da anni.
Proprio tanti anni.
Ed è senza dir niente che ti avvicini e apri una pagina.
La prima.
Ti sembra il modo più giusto per ricordare chi non c’è più.
E per ricordare chi ti aspetta da anni.
Quel libro.

“Molti anni dopo, di fronte al plotone di esecuzione, il colonnello Aureliano Buendia si sarebbe ricordato di quel remoto pomeriggio in cui suo padre lo aveva condotto a conoscere il ghiaccio.”

Diciamo che è un inizio.
Meglio, un incipit.

[ora sono a pag. 109 e Macondo è ormai il mio M(ac)ondo]