“Sei brutta quando piangi”, le disse.
“Proprio brutta.”
Voleva farla smettere.
Voleva consolarla, ma l’unica cosa che riuscì a dire fu solo “Sei brutta quando piangi”.
E dentro pensava tutto il contrario.
Sentiva quasi d’amarla di più.
Lei, indifesa, avvilita e con gli occhi pieni di lacrime.
Che le scendevano copiose lungo le guance.
Gli si stringeva il cuore a vederla così.
Eppure restava immobile, incapace di fare l’unica cosa che avrebbe avuto un senso: abbracciarla.
Temeva di sciupare, forse, quella scena così tragica eppure così bella.
Lacrime teatrali.
Teatrali come la pioggia.
Lo aveva letto da qualche parte, sì.
E ne era rimasto colpito.
Colpito da una frase che sentiva come appartenergli.
Ed oggi aveva capito perché.
Quelle lacrime erano la pioggia che il suo cuore attendeva da tanto.
Un cuore in stand-by, non certo arido, ma fermo, in attesa di ricominciare a battere per la persona giusta.
Lei.
Lei era la persona giusta.
Lo sentiva dentro.
La sentiva dentro.
Ed ora era lì, piccola e indifesa.
Tutta da proteggere.
E tutta da amare.
Lì, in attesa di cosa?
In attesa di un abbraccio.
Di un suo abbraccio.
Sì.
Il suo cuore era in ammollo già da un po’.
“Basta piangere”, pensò.
E le si avvicinò, sorridendo.
Come solo un arcobaleno dopo la pioggia sa fare.