Attimi di sabbia

Attimi che se ne vanno
Prima ancora di averli davvero compresi
o semplicemente presi

Granelli di sabbia

. ..    .     .
. ..  .   .
.  .    .. .

Che non saranno mai miei
né del mare che li guarda
(crede)
ogni giorno

Svuoto la memoria
Per giustificare i vuoti che arrivano in automatico
Come da manuale
Quello che dovrei scrivere
E poi distribuire a chi dice di non capirmi o a chi ha la pretesa di conoscermi

Non so, no.
(io)
Forse riavvolgo il nastro della mia vita
Solo per guardarmi
“Replay it again, Sam”

Come se avessi il coraggio di vedere tutti i film
In cui ho solo fatto da comparsa
O scompar(Puff!)

Il mio angolo

 

Cerco un angolo.
In una casa piena di spigoli.
In cui sbatto.
In cui mi imbatto.
Sempre alla ricerca di un angolo.
Me ne basterebbe solo uno.
Uno tutto mio.
Un angolo custode.
Dei miei pensieri.
Delle mie riflessioni più profonde.
Dei miei pianti inconsolabili.
Delle mie letture più segrete.
Un angolo tutto mio.
Da dove potrei guardare il mondo.
Senza farmi notare.
Senza fare rumore.
In fondo chiedo solo un angolo.
Non un ring, su cui combattere.
Non un gong, per farmi smettere.
Solo un angolo.
Ma un posto così non è dietro l’angolo.
Magari lo trovo in camera.
“No, mi spiace. In camera c’è solo il grandangolo.”
Ah.

con i piedi

“Sei pronta?”
“Per cosa?”
“Per andare.”
“Andare dove?”
“Lontano.”
“Non posso.”
“Perché non puoi?”
“Perché so solo restare. Non so andare.”
“Hai provato a muoverti?”
“No. Non con i piedi.”
“E con cos’altro?”
“Con la testa.”
“E dove sei arrivata?”
“Non so. Credo lontano.”
“Allora sai muoverti!”
“No. Non con i piedi.”
“I primi passi si fanno sempre con la testa.”
“Io ne ho fatti molti di più.”
“Allora fanne ancora. Ma con i piedi.”
“No. Non posso.”
“Perché non puoi?”
“Non sono pronta.”
“Sì che lo sei! Cosa ti manca?”
“La spinta giusta.”
“Vuoi una mano?”
“No, grazie. Preferisco un piede.”

In crisi (a/r)

Lo sapevo: sono andata in crisi.
Facile per me andare in crisi, eh.
Il mio nome contiene la parola crisi da sempre.
E allora vado e torno come in un viaggio senza fine
e senza meta
basta una parola, o un pensiero o anche meno e
vado in crisi
d’identità?
anche
esistenziale?
forse
ogni crisi ha il suo perché
anzi, il mio
tanto per ribadire l’idea del possesso
e del controllo
che non ho su di me
figuriamoci sugli altri
sono fuori? controllo
e voi fatemi andare in crisi
in santa pace
mi accontento pure di una pace profana, se è per questo
se invece è per quello non mi accontento, no
e vado in crisi
preparo la valigia, poche cose
tanto vado e torno
e poi ci ritorno
“ma invece di andare in crisi, perché non vai in analisi?”
non conosco la strada.
“Google maps?”

Odio le file

Mi sono alzata presto stamattina, per dare uno sguardo a questo nuovo anno. 
Sì, un po’ lo avevo visto ieri sera, allo scoccare della mezzanotte, ma c’era un tale frastuono di botti e risposte che non c’avevo capito poi molto. Allora avevo chiuso la finestra con la tacita promessa di alzarmi presto e guardare questo 2015 senza distrazioni di sorta.

E invece niente.
C’era già la fila, stamattina.
E io ODIO le file.
Ho provato a capire se ci fosse anche solo una remota possibilità di vedere la fine, di quella fila, ma non c’era, no. 
C’era, invece, un sacco di gente che parlava e parlava e parlava, fastidiosa quasi più dei botti di poche ore prima. E diceva che sì, sarà un anno fantastico, vedrai, ma no, è già iniziato da schifo, così come è finito, e chissà se troverò lavoro, dai, pensa alla salute e auguri per un anno sereno, anche a te e famiglia, e blablabla.
Ma io non avevo in mente tutto questo.


Meglio sarebbe stato, allora, restarsene a letto, mi sono detta.

 Avrei potuto provare ad immaginare, magari sognare, un anno diverso, più allegro, colorato, come un cartone animato da buoni propositi.


Invece testona che sono!

Dovevo alzarmi presto, io.


Dovevo guardare con gli occhi veri e non con quelli della mente, io.
Dovevo osservare, analizzare, sperimentare e poi trarre le mie conclusioni su questo nuovo inizio, io.
Eh.
Ma c’era già la fila.
E io ODIO le file.
“Serviamo il numero…”
No, aspetta, forse tocca a me.
Sì, ecco. Tocca a me dire.
Dunque… ecco… no, dico…
Lo sapevo.
Non so più cosa dire.
Non sono ancora pronta.
E’ troppo presto.
Non me la sento di sputare sentenze su ciò che non conosco.
Ed io questo 2015 non lo conosco ancora.
E neanche voi altri lo conoscete ancora.
Allora disperdiamoci, su.
Lasciamo perdere la fila.
Lasciamo perdere questo insensato blablabla che non porta a niente.
Facciamo entrare questo povero anno appena arrivato e vediamo cosa fa.
Intanto io prendo il numerino, per il 31 dicembre.
Così sarò la prima a parlare dell’anno appena passato.
Sarò la prima della fila.
(perché io ODIO le file – l’ho già detto?)

Chiuso per volo. Torno subito.

Quasi quasi scrivo qualcosa.
Così.
Mentre sto facendo altro.
Come a dimostrare, a me stessa, che posso scrivere quando più ne ho voglia.
Anche quando non posso.
È il mio modo di dirmi che non sono in gabbia.
O, meglio, che della mia gabbia ho le chiavi.
E se ogni tanto mi vien voglia di volare lo posso fare.
Basta aprire.
Basta aprirsi.
E tutto verrà da sé.
Anche le ali.
Quelle che non vedo quando sono in gabbia.
Spazio troppo stretto per riuscire a guardarsi le spalle.
Eppure le sento prudere.
Le mie ali prudenti.
Che sanno bene quando bussarmi alle spalle ed invitarmi a volare.
Come ora.
Qui.
Ecco.
Bene così.
Ho volato abbastanza.
(((torno in gabbia)))

Sono fuori? Controllo.

Sono fuori di me.
Ogni tanto ne sento il bisogno.
Di uscire.
Di uscirmi (ma sì, lasciatemi dire così).
Vado a fare un giro, mi son detta.
Alla larga.
Da tutto.
E da Titti.
Giusto per vedere che effetto fa.
Guardarsi dal di fuori.
Vedere come mi vedono gli altri.
E’ divertente.
E’ la mia vita, quella laggiù.
Guarda un po’ che tipa strana che sono.
E che tipe strane che ci sono tutte dentro la stessa me.
Ora allegra.
Un minuto dopo tristissima.
E poi serena.
Rassegnata, forse.
Ma viva, ancora viva, malgrado tutto.
Malgrado tutti quelli che la vorrebbero diversa.
O che la vorrebbero, magari, sempre e solo felice.
Eh.
Provo ad avvicinarmi, ma ho paura di essere riconosciuta.
Forse è solo paura di riconoscermi, in lei.
Allora faccio le presentazioni:
“Ciao, sono Titti, ci conosciamo?”
“Sì, proviamo a conoscerci.
Entra dentro. E prendiamo un po’ di te.
E di me.”

Che spettacolo!

E vorrei leggere.
E vorrei scrivere.
E vorrei.
Ma queste giornate mi piombano addosso con tutto il loro peso.
Sono frane.
Su una frana.
Me.
Che rotolo giù.
A pezzi.
E non riesco a fermarmi.
Eppure vorrei.
Vorrei leggere.
Vorrei scrivere.
Di me.
Di quello che mi brucia dentro.
E poi sale su, come un rigurgito.
Burp!
Ma non posso fare niente.
Perché devo fare tutto.
Tutto quello che altri hanno deciso per me.
O hanno reciso, per me.
Rami secchi, dicono.
Parti di me, dico.
Che non voglio lasciar andare.
Ma che “devo” lasciar andare.
In fondo chi sono io per decidere?
Sono io, non basta?
Dovrei decidere di recidere.
Il filo.
Quell’invisibile filo che fa di me una marionetta.
Nelle mani di chi conosce bene il mestiere.
Un inchino qua.
Un bacio là.
Sì, il teatrino è sempre un successo.
Ed io attrice non protagonista della mia vita.
Che spettacolo che sono!
Applausi!

(Quasi quasi oggi mi do malata e non vado in scena)

“Pazza! Tocca a te!”
“Non posso. Ho perso il filo. Del discorso…”
“Uh! Quante scene! Tanto lo sai che il filo lo abbiamo noi.”
“Ok. Mi in filo qualcosa e arrivo.”

[[sipario]]

La fate facile, voi.

“Scrivi”.
E’ l’invito di questo foglio bianco.
Mi dice proprio così:
“Scrivi”.
Come se fosse facile.
O come se colei che scrive fosse felice.
Fosse facile essere felice.
Invece non lo è mai.
Nemmeno quando sento che quella felicità in fondo un po’ me la merito.
Ma non riesco a godermela.
Ché non è facile nemmeno godere, eh.
Troppi freni, paletti, muri alti alti.
Provo a scalarli, io, quei muri, ma c’è sempre qualcosa (o qualcuno) che da giù mi tira la maglia.
E non mi fa arrivare in cima.
Allora mi sento straziata.
Ho l’anima a brandelli.
Il cuore sta bene, grazie.
Ma l’anima è in rianimazione.
Si rianimerà?
Non so.
So dove sono e so dove vorrei essere.
E così non mi sento in nessun luogo.
So chi sono?
E chi sono io per dirlo?
Allora forse è meglio scrivere.
Scrivere per descrivere.
I miei stati d’animo
Le mie paturnie
Le mie ansie
Le mie felicità
Le mie paure

Scrivere per descrivere me.

Eh.
Fosse facile.
Come essere felici.

di giorni migliori

ho avuto giorni migliori, di me, che non combino mai nulla di buono, beh, forse sto esagerando, qualcosa tutto sommato mi piace, non posso sottrarmi a questa verità, che fa bene, mica la verità può sempre fare male, ma oggi un po’ male mi sento, ché vorrei aiutare una persona a cui voglio bene, ma quella scalcia, come una bimba che fa i capricci, che non ti vuole vicina, che ti spinge via, ma io so che non è così, però non posso fare niente, posso solo prendere calci e pugni e aspettare che passi, come diceva quel tizio lì, “passata è la tempesta, odo augelli far festa…”, magari tornasse il sereno, ma qui è tutto variabile, forse la variabile sono io, forse no, eh, eppure abbiamo avuto giorni migliori, ricordi, sbiaditi, di noi due sdraiate in riva al mare a parlare per ore di tutto e di tutti, quel ragazzino che mi piaceva tanto, ma lui guardava solo te, ricordi?, quanto c’ho pianto, e tu ridevi, eh, e ridevamo stese lì, al sole che ci guardava come spiedini e ci rosolova, sì, di un bel colore barbecue, ma sì, torneremo anche stavolta a sorridere, tanto lo so: ho avuto giorni migliori, ne avremo di più belli, insieme, forse