L’amore è un jeans

 

I jeans.
Sono lì, in vetrina.
Ti guardano.
Ti guardi e pensi: sono perfetti per me!
Li compri.
Mai della taglia giusta, ma ti convinci che
“tanto poi cedono” e quella che cede sei tu.
Arrivi a casa.
Vuoi metterli.
Stretti da morire (tanto poi cedono, ti ripeti come un mantra, mantra li indossi)
Ecco! Bellissimi!
Esci a farci un giro.
Domani li rimetti, sono troppo belli!
Ma anche dopodomani.
E al quarto gior… no.
Hanno ceduto troppo (te l’avevo detto, no? Tanto poi cedono).
Ma così è davvero troppo.
Non ti piacciono proprio.
Non sono più quelli belli in vetrina.
Quelli che hai comprato tuttacontenta.
No.
Non più.

Ecco.
L’amore è un jeans.

TelefonHate

 

Odio il telefono
Quello moderno
Quello con il display che ti dice chi è
Prima ancora di aver risposto
Non come quello fisso
Di una volta
Quello che c’era solo a casa
E che esisteva solo se a casa c’eri pure tu
Era discreto, sì
Non un pettegolo – come quello moderno
Smart, lo chiamano
Intelligente? Figo?
Mah.
Io lo odio
Ché a me fa venire l’ansia solo a guardarlo.
Non puoi non vedere chi ti chiama
E magari in quel momento non hai voglia di parlare
Anche solo di rispondere
A quel numero
A quel nome
A quel volto
Che, display o no, hai già messo a fuoco
E non puoi nemmeno dire
“Non ero in casa”
Perché ti dirà
“Ti ho cercato. Non hai visto la chiamata persa?”
E quella persa sono io,
Che non ho voglia di rispondere.
Ma non ho scampo.
Specie quando ho campo.

Passo (più tardi)

 

 

Questo vuoto riempie le mie giornate
come un paradosso sempre nei paraggi
neanche fosse un calciatore pronto a fare rete
e invece si limita a guardarla
dalla traversa
di una strada senza vie d’uscita né di fuga
ed io che corro corro corro
sul posto
senza muovermi di un passo
più tardi
mi aspetto, molto
e non arrivo mai
ché questo vuoto riempie le mie giornate.

2017, ti stiamo aspettando.

Il nuovo anno è alle porte
e quello vecchio fa di tutto per intralciargli l’ingresso
eppure
dovrebbe essere felice di andar via
ché non ci ha amato poi tanto, no?
tra guerre, morte di gente famosa e gente comune (‘a livella, Toto’ caro),
attentati nel nome di un Io più grande del dio invocato,
terremoti, alluvioni e disastri di ogni genere
beh, non si può proprio dire che quest’anno ci abbia tanto amati,
forse armati,
armati di pazienza o rassegnazione o.
Ecco, io mi aggrappo a quell’o,
che è pur sempre l’inizio di un timido ottimismo
per il nuovo anno
quello che verrà (diceva Dalla)
quello che verrà domani (è un altro giorno, diceva Miss O’Hara)
quello, proprio quello che tutti stiamo aspettando
più di Godot (che ha chiamato per dire che farà tardi pure stavolta).
Ma il nuovo anno lo vogliamo tutti
e lo vogliamo diverso.
E già lo amiamo un po’, vero?
Allora auguri,
di buon anno
e di buon a noi.

Attimi di sabbia

Attimi che se ne vanno
Prima ancora di averli davvero compresi
o semplicemente presi

Granelli di sabbia

. ..    .     .
. ..  .   .
.  .    .. .

Che non saranno mai miei
né del mare che li guarda
(crede)
ogni giorno

Svuoto la memoria
Per giustificare i vuoti che arrivano in automatico
Come da manuale
Quello che dovrei scrivere
E poi distribuire a chi dice di non capirmi o a chi ha la pretesa di conoscermi

Non so, no.
(io)
Forse riavvolgo il nastro della mia vita
Solo per guardarmi
“Replay it again, Sam”

Come se avessi il coraggio di vedere tutti i film
In cui ho solo fatto da comparsa
O scompar(Puff!)

Il mio angolo

 

Cerco un angolo.
In una casa piena di spigoli.
In cui sbatto.
In cui mi imbatto.
Sempre alla ricerca di un angolo.
Me ne basterebbe solo uno.
Uno tutto mio.
Un angolo custode.
Dei miei pensieri.
Delle mie riflessioni più profonde.
Dei miei pianti inconsolabili.
Delle mie letture più segrete.
Un angolo tutto mio.
Da dove potrei guardare il mondo.
Senza farmi notare.
Senza fare rumore.
In fondo chiedo solo un angolo.
Non un ring, su cui combattere.
Non un gong, per farmi smettere.
Solo un angolo.
Ma un posto così non è dietro l’angolo.
Magari lo trovo in camera.
“No, mi spiace. In camera c’è solo il grandangolo.”
Ah.

E’ finito il 2015 (salvo complicazioni)

Di questo 2015 io

salvo le emozioni, quelle forti, che mi hanno scossa, nel bene e nel male;
salvo i sorrisi, quelli incontrati per caso, ma tanto tanto sentiti;
salvo le mani, piccole e grandi, che mi hanno accarezzata nei momenti di difficoltà;
salvo le mie paturnie, compagne di un viaggio iniziato anni fa;
salvo il mio piano, che con note dolcissime, a volte dolenti, mi ha saputo consolare;
salvo il mio libro sul comodino, porta d’accesso per un mondo parallelo;
salvo le lacrime, di gioia e di dolore, che come acqua hanno innaffiato il mio cuore;
salvo le fusa del gatto che già c’era e di quello che è arrivato qualche mese fa;
salvo il mio disordine, che mi ha fatto ritrovare quello che credevo perduto;
salvo le canzoni, quelle che mi hanno fatto ballare davanti allo specchio come una ragazzina;
salvo me, quella che ho odiato e poi amato e poi odiato di nuovo, in un loop senza fine.
Salvo complicazioni.
Le mie.

con i piedi

“Sei pronta?”
“Per cosa?”
“Per andare.”
“Andare dove?”
“Lontano.”
“Non posso.”
“Perché non puoi?”
“Perché so solo restare. Non so andare.”
“Hai provato a muoverti?”
“No. Non con i piedi.”
“E con cos’altro?”
“Con la testa.”
“E dove sei arrivata?”
“Non so. Credo lontano.”
“Allora sai muoverti!”
“No. Non con i piedi.”
“I primi passi si fanno sempre con la testa.”
“Io ne ho fatti molti di più.”
“Allora fanne ancora. Ma con i piedi.”
“No. Non posso.”
“Perché non puoi?”
“Non sono pronta.”
“Sì che lo sei! Cosa ti manca?”
“La spinta giusta.”
“Vuoi una mano?”
“No, grazie. Preferisco un piede.”

In crisi (a/r)

Lo sapevo: sono andata in crisi.
Facile per me andare in crisi, eh.
Il mio nome contiene la parola crisi da sempre.
E allora vado e torno come in un viaggio senza fine
e senza meta
basta una parola, o un pensiero o anche meno e
vado in crisi
d’identità?
anche
esistenziale?
forse
ogni crisi ha il suo perché
anzi, il mio
tanto per ribadire l’idea del possesso
e del controllo
che non ho su di me
figuriamoci sugli altri
sono fuori? controllo
e voi fatemi andare in crisi
in santa pace
mi accontento pure di una pace profana, se è per questo
se invece è per quello non mi accontento, no
e vado in crisi
preparo la valigia, poche cose
tanto vado e torno
e poi ci ritorno
“ma invece di andare in crisi, perché non vai in analisi?”
non conosco la strada.
“Google maps?”

Via di qua

Passeggiando a piedi amo leggere i nomi delle vie che percorro.
Via Manzoni, Via Grassi, Via Milano…
Io, invece, abito in via Collina.
Non un nome importante per la mia via.
Non Shakespeare o Dante o D’Annunzio.
No, la mia si chiama proprio Via Collina.
Un nome che non dice niente.
Che non rimanda ad una persona o ad un fatto storico importante.
Ricordo solo un arbitro con quel nome.
Allora dovrei dire che arbitro in Via Collina.
Forse suonerebbe meglio.
Forse non suonerebbe affatto.
Fischerebbe, questo sì.
Poi, però, penso alla mia via dal nome geografico.
Collina.
Indica un luogo, tutto verde magari (quanto amo il verde!).
Un punto né alto né basso.
Non pianura, non montagna.
Una sorta di non luogo o un luogo di mezzo.
Ed io abito proprio qui, in Via Collina.
Una folle come me, in Via Collina.
Come il fool on the hill di quei matti dei Beatles.
Ma sì: tutto alla fine torna.
O va.
Via di qua
Via Collina.