Che spettacolo!

E vorrei leggere.
E vorrei scrivere.
E vorrei.
Ma queste giornate mi piombano addosso con tutto il loro peso.
Sono frane.
Su una frana.
Me.
Che rotolo giù.
A pezzi.
E non riesco a fermarmi.
Eppure vorrei.
Vorrei leggere.
Vorrei scrivere.
Di me.
Di quello che mi brucia dentro.
E poi sale su, come un rigurgito.
Burp!
Ma non posso fare niente.
Perché devo fare tutto.
Tutto quello che altri hanno deciso per me.
O hanno reciso, per me.
Rami secchi, dicono.
Parti di me, dico.
Che non voglio lasciar andare.
Ma che “devo” lasciar andare.
In fondo chi sono io per decidere?
Sono io, non basta?
Dovrei decidere di recidere.
Il filo.
Quell’invisibile filo che fa di me una marionetta.
Nelle mani di chi conosce bene il mestiere.
Un inchino qua.
Un bacio là.
Sì, il teatrino è sempre un successo.
Ed io attrice non protagonista della mia vita.
Che spettacolo che sono!
Applausi!

(Quasi quasi oggi mi do malata e non vado in scena)

“Pazza! Tocca a te!”
“Non posso. Ho perso il filo. Del discorso…”
“Uh! Quante scene! Tanto lo sai che il filo lo abbiamo noi.”
“Ok. Mi in filo qualcosa e arrivo.”

[[sipario]]

Ancora cinque minuti…

poi ti svegli almeno credi ché tutta questa voglia di tenere gli occhi aperti proprio non ce l’hai ché a dirla tutta e a dirla soprattutto a te stessa vorresti continuare a dormire per continuare sì quel sogno quello bello quello in cui ti sei sentita a tuo agio e da cui non vorresti mai uscire perché dentro ci puoi fare tutto senza chiedere il permesso e senza paletti né punti né virgole e puoi volare via o tornare e cantare e vivere e semplicemente amare ché l’amore in fondo è una cosa semplice come respirare come sognare come non è lì dove vivi ad occhi aperti dove ti aspettano ad occhi aperti dove devi tenere sempre gli occhi aperti e no forse no questa mattina proprio no ancora cinque minuti che per il tuo sogno sono tutta una vita
la tua

Inconcludente (che duole)

E continuo a scrivere, oggi
Cose che non hanno inizio né fine
Come un discorso già cominciato
E non ancora concluso
Come il pezzo jazz che sto ascoltando
Di quelle cose a cui puoi attaccare di tutto
E staranno sempre bene
O male
Sempre così, io
Eh
Io
Ho un io troppo invadente
Anche quando ama
Fa il pazzo (eh)
Perché vorrebbe gridare al mondo quanto è felice
(quando è felice)
E quanto soffre
(quando soffre)
Ci sguazza, il mio io, nelle pozzanghere delle mie lacrime
E si lascia prendere dall’entusiasmo delle mie risate
Però
Eh
Però a volte è troppo preso da sé
E si perde
Si perde quello che gli accade intorno
E ferisce
Senza toccare
Anzi, proprio perché non ha toccato
Argomenti
Problemi
Sentimenti
E poi non sa come riparare
O dove riparare
Perché comincia a piovere
Ah no
Sono lacrime
Eh
Continuo a scrivere
Dopo, magari
Così potrò concludere
Magari

The Very Inspiring Blogger Award (dite a me? ma siete pazzi?)

Beh, davvero questa non me l’aspettavo.
Mi aspetto tante cose che non arrivano mai, ma in fondo le cose più belle sono sempre quelle che ti sorprendono, quando pensavi di non riuscire più a provare lo stupore di un bambino con un enorme scatola infiocchettata tra le mani e…
Sì, sì.
Mi sto dilungando (tanto per cambiare), ma tutto questo per ringraziare una persona speciale che ha nominato me (dico me!) tra tanti grandi bloggers.
Parlo di Lara (dice no), la più bella sfumatura di blu mai conosciuta. (http://laradiceno.wordpress.com/).

Le regole del premio sono

1. Ringraziare il/la blogger che vi ha nominato.
2. Elencare le regole e visualizzare il logo del premio.
3. Condividere 7 fatti su di voi.
4. Nominare 15 blogger e notificargli la nomination.

Ai primi due punti ho già messo un punto.
Passiamo al terzo:
Sette cose su di me.
Sette, dico.
Se te dico che ci devo pensare?
Forse no.
Ché se penso è peggio.

1. Come potete leggere, non sono di poche parole.
Ma se dico una cosa, sono di parola.
Insomma, amo giocare con le parole.
Mi diverto, proprio.
Le giro e rigiro in un girotondo infinito.
Chi mi conosce sa: ad ogni parola corrisponde una controparola uguale e contraria.

2. Sono dei gemelli. Sì, sono proprio dei gemelli quelli che mi abitano. Non so quanti, ma di certo gemelli. Il mio oroscopo ci ha preso, devo dire. Mai una volta che riesca ad andare d’accordo con me stessa. Davanti ad un bivio ci sto ore e poi, improvvisamente, senza una ragione (forse per pura follia), decido di intraprendere un terzo sentiero, quello che non avevo visto prima, quello che forse neanche esiste, ma quello che, alla fine, tocca proprio a me percorrere.
(per correre c’è tempo – cammino meglio).

3. E sì: sono pigra. Però ho anche sprazzi di iperattività che cerco di soffocare subito dopo aver capito a cosa mi stanno portando.

4. Leggo, leggo, leggo. Da poco meno di un mese ho tra le mani uno strumento bellissimo, il Kobo, un e-reader, e scarico di tutto, senza freni (tranne quelli imposti dalla mia carta di credito, che da CartaSì fa presto a divenire CartaNo e CartaadessobastacoSì).
Non sono ancora pronta ad abbandonare il cartaceo per il digitale, e forse non lo sarò mai. Mi innamoro ancora di copertine colorate (che devo sentire sotto le dita), delle pagine che profumano di nuovo, dei caratteri di stampa, del rumore della carta e tutto il resto. Ma grazie al mio e-reader ora posso portarmi ovunque un’intera libreria piena di libri di poesia, romanzi, saggi e assaggi.

5. Il mare. Chi mi segue da un po’ ha capito che il mare è parte di me.
Sono fatta così: sono fatta mare. Potrei vivere ovunque (e in effetti così ho fatto per alcuni periodi della mia vita), ma non potrei vivere senza pensare di ritornare un giorno al mio mare. Il bisogno di vederlo, tutti i giorni, è un bisogno dell’anima. Ho bisogno di conoscere il suo umore e sentire il suo rumore, per placare o assecondare le (a)mareggiate della mia vita.

6. E poi c’è la musica. Suono il piano dall’età di sei anni. E ascolto da sempre di tutto.
Classica, Pop, Jazz, Bossa… Ogni brano è colonna sonora di momenti importanti della mia vita. La mia playlist è in continuo aggiornamento. Al Jarreau cede il passo a Bill Evans che saluta suonando Sting che strizza l’occhio a James Taylor che dà il la a Sergio Caputo e tutti insieme – e tanti ancora – ogni giorno mi offrono un meraviglioso concerto privato, che io ascolto ora ballando ora piangendo ora cantando e “ora basta!” (scusate, i vicini).

7. Scrivere. Amo scrivere. E l’ho scoperto tardi. Tutta colpa di twitter, forse. Scrivere mi aiuta a capire, a studiare, ad affrontare stati d’animo con cui spesso sono in guerra. Ma è un modo per trovare anche la pace, con me stessa.

Ed ora i 15 bloggers che amo leggere:

1. Il blog di Walter Ego. Riflessioni di un ermetico, perché è sempre bene avere er metico in famiglia. (http://egowalter.wordpress.com/).
2. Il suo regno è twitter, ma nel blog “La Pompa del Cuore” Ziacoca si racconta – e ci incanta. (http://ziacoca.blogspot.it/)
3. Non le manda a dire. Io vi mando a leggerle, le parole de Laresadeitonti (http://laresadeitonti.wordpress.com/)
4. Sempre sul filo, in bilico tra l’esserci e il non esserci: il blog di Serafino Bandini. (http://erafilobandini.wordpress.com/)
5. Ti fanno a fette, le sue parole. E mi fanno affetto. Lei è Nonvedi. (http://17e17.wordpress.com/)
6. Un caleidoscopio di colori. Fumetti, FumAtti, racconti e molto ancora.(http://lybreria.altervista.org/Lybreria/)
7. Aforismi per tutti i gusti. Venghino, siori, venghino. Il blog di Fabrizio Caramagna. (http://aforisticamente.com/)
8. Ogni volta che lo leggo mi emoziono. Provate, per credermi. Stevens ed il suo blog.(http://butlerstevens.wordpress.com/)
9. Pastelli magici descrivono mondi che conosciamo bene: il blog di Marco Guzzini. (http://marcoguzzini.wordpress.com/)
10. La coach che tutti vorremmo avere come angelo custode. Lei è Paola Fantini. (http://storiedicoaching.com/)
11. Pensieri ad alta voce di un italiano a Londra. DayOffLondra. (http://dayofflondra.wordpress.com/)
12. Curi e il suo limite di dodici righe. Io ci riuscirei? No. Lui può.(http://dodicirighe.wordpress.com/)
13. Blog di poesia, con monografie di autori conosciuti e non. (http://internopoesia.wordpress.com/)
14. Mi faccio film, ma guardo anche quelli degli altri. L’Occhio del Cineasta offre ottimi consigli. (http://occhiodelcineasta.wordpress.com/)
15. Recente e bella scoperta. Emozioni in versi di Michela.(http://emozioversando.wordpress.com/)

Ora a leggere, su!

Silenzio!

È ancora troppo presto.
Per (inter)rompere un silenzio.
C’è chi abbatte il muro del suono
E chi, come te, costruisce muri di silenzio.

[silenzio] [silenzio] [silenzio] [silenzio]
[silenzio] [silenzio] [silenzio] [silenzio]
[silenzio] [silenzio] [silenzio] [silenzio]
[silenzio] [silenzio] [silenzio] [silenzio]
[silenzio] [silenzio] [silenzio] [silenzio]
[silenzio] [silenzio] { crepa } [silenzio]
[silenzio] [silenzio] [silenzio] [silenzio]
[silenzio] [silenzio] [silenzio] [silenzio]

Oh!
Ho intravisto una crepa, nel tuo silenzio.
“Ma no, sciocca, quella non è una crepa. È solo una che crepa, nel silenzio generale.”
Ah.
Come al solito non c’ho capito niente.
Spero almeno che la poverina possa crepare dalle risate.
Sai che rottura, per quel muro.

La fate facile, voi.

“Scrivi”.
E’ l’invito di questo foglio bianco.
Mi dice proprio così:
“Scrivi”.
Come se fosse facile.
O come se colei che scrive fosse felice.
Fosse facile essere felice.
Invece non lo è mai.
Nemmeno quando sento che quella felicità in fondo un po’ me la merito.
Ma non riesco a godermela.
Ché non è facile nemmeno godere, eh.
Troppi freni, paletti, muri alti alti.
Provo a scalarli, io, quei muri, ma c’è sempre qualcosa (o qualcuno) che da giù mi tira la maglia.
E non mi fa arrivare in cima.
Allora mi sento straziata.
Ho l’anima a brandelli.
Il cuore sta bene, grazie.
Ma l’anima è in rianimazione.
Si rianimerà?
Non so.
So dove sono e so dove vorrei essere.
E così non mi sento in nessun luogo.
So chi sono?
E chi sono io per dirlo?
Allora forse è meglio scrivere.
Scrivere per descrivere.
I miei stati d’animo
Le mie paturnie
Le mie ansie
Le mie felicità
Le mie paure

Scrivere per descrivere me.

Eh.
Fosse facile.
Come essere felici.

Englishman in New York

Sting-Englishman-In-New-York

Mi faccio tanti film.
E sono film fatti in casa.
Su pellicola domopak.
Ma mi dicono dalla regia che devo smettere di farmi tutti questi film.
E lo dicono a me.
Sì, a me.
Che ho già scelto pure la colonna sonora.
Brani di ogni genere.
Protagonisti, essi stessi, del mio passato.
E del mio presente.
Jazz, pop, bossa…
C’è sempre una musica che bossa alla mia porta.
E che mi porta via con sé.
E con tutti i miei “se”.
E questa sera il mio film è in bianco e nero.
Come i due colori che sento dentro, da sempre.
Buio e luce.
Metto sempre le cose in chiaroscuro, io.
Per godere meglio dei contrasti.
Come quelli che sa regalare una città che ho nel cuore: New York.
Città in bianco e nero descritta, disegnata, in questa poesia che amo:

Alla giovane cassiera di Sbarro, Times Square, NYC
[di R. Uberti in Tetralogia Newyorkese]

È un’ora di pranzo credo come tutte le altre
sulla prua di Times Square orientata a nordovest
e tu hai un sorriso da gallina sventrata mentre infili la mia cartadicredito
dentro un paio di labbra di plastica e mi dici tenkiù.
Ho un vassoio con un po’ di pasticcio di pasta e del pollo
credo oramai arrugginito. Tra un attimo siederò a un tavoletto
addosso a una vetrina dove mi sento in faccia alla folla.
E tu intanto dirai altri dieci e poi dieci e poi dieci tenkiù
a chi compra il tuo pollo oramai arrugginito.
In faccia a tutta la folla che cosparge ricopre la prua di Times Square
in piena navigazione verso porti mai visti
sei soltanto la piccola buccia
di una vecchia banana gettata su un marciapiedi esigente.

(E in sottofondo Sting se la canta – e ce le canta)
“Be yourself, no matter what they say”

di giorni migliori

ho avuto giorni migliori, di me, che non combino mai nulla di buono, beh, forse sto esagerando, qualcosa tutto sommato mi piace, non posso sottrarmi a questa verità, che fa bene, mica la verità può sempre fare male, ma oggi un po’ male mi sento, ché vorrei aiutare una persona a cui voglio bene, ma quella scalcia, come una bimba che fa i capricci, che non ti vuole vicina, che ti spinge via, ma io so che non è così, però non posso fare niente, posso solo prendere calci e pugni e aspettare che passi, come diceva quel tizio lì, “passata è la tempesta, odo augelli far festa…”, magari tornasse il sereno, ma qui è tutto variabile, forse la variabile sono io, forse no, eh, eppure abbiamo avuto giorni migliori, ricordi, sbiaditi, di noi due sdraiate in riva al mare a parlare per ore di tutto e di tutti, quel ragazzino che mi piaceva tanto, ma lui guardava solo te, ricordi?, quanto c’ho pianto, e tu ridevi, eh, e ridevamo stese lì, al sole che ci guardava come spiedini e ci rosolova, sì, di un bel colore barbecue, ma sì, torneremo anche stavolta a sorridere, tanto lo so: ho avuto giorni migliori, ne avremo di più belli, insieme, forse

When I Fall in Love (B. Evans)

Dritto dritto al cuore.
Senza passare per nessun altro organo vitale.
Dritto dritto, come un colpo ben assestato.
Una freccia.
Che fa breccia.
Basta guardarla dall’altro lato, quello b.
Un brano che puoi ascoltare solo ad occhi chiusi.
Come quando dai un bacio.
Un lungo bacio.
E ti ritrovi in un mondo parallelo.
Il suo.
E ti perdi.
E ti cerchi.
E ti trovi.
Così io.
Quando mi innamoro.

When I Fall in Love

When I fall in love it will be forever
Or I’ll never fall in love
In a restless world like this is
Love is ended before it’s begun
And too many moonlight kisses
Seem to cool in the warmth of the sun

When I give my heart it will be completely
Or I’ll never give my heart
And the moment I can feel that you feel that way too
Is when I fall in love with you.

And the moment I can feel that you feel that way too
Is when I fall in love with you.